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STORIE

Da Napoli agli USA per studiare il cancro al pancreas: la dottoressa Marina Pasca di Magliano

17-12-2020

Nella foto, da sinistra a destra: Rosa Menjivar (dottorando); Wenting Du (postdoc); Zeribe Nwosu (postdoc); Carlos Espinoza (lab manager); Katelyn Donahue (lab manager); Donnele Daley (chirurgo).



Probabilmente una domanda cui la scienza faticherà a dare risposta è perché sia così difficile perseguire la parità di genere in ogni branca della società, anche in campo accademico. "Sia negli USA, sia in Europa – si interroga retoricamente la dottoressa Marina Pasca di Magliano, professoressa ordinaria all'University of Michigan Medical School – tra i dottorandi nelle materie scientifiche ormai ci sono più donne che uomini. Eppure, progredendo con la carriera universitaria, il rapporto si inverte e nei ruoli apicali ci sono quasi esclusivamente uomini. Com'è possibile?". Le cause sono sempre le stesse: "Scelte sbagliate di chi detiene il potere e l'essere costretti a scegliere tra la famiglia e la professione. Io - racconta la dottoressa -, avendo ben tre figli e lavorando nei dipartimenti di chirurgia e biologia, vengo vista come un unicorno, qualcosa che non dovrebbe esistere o è comunque estremamente raro". Eppure si può fare qualcosa per migliorare la situazione: "Per quanto mi riguarda – spiega sempre la docente – faccio molta attenzione nella selezione dei miei allievi e sono orgogliosa delle dottoresse che ho nel mio laboratorio".



“Non sono fuggita, volevo fare nuove esperienze”



Anche se rifiuta la definizione di 'cervello in fuga', la dottoressa Marina Pasca di Magliano ne è, visto il suo percorso, l'esatta raffigurazione: "Ho studiato Biologia alla Federico II di Napoli, mi sono laureata nel 1996, ho lavorato per un anno in Italia ma ho subito fatto domanda per un dottorato all'estero. E sono finita a Vienna, poi negli Stati Uniti, dove probabilmente resterò visto che ho qui la mia famiglia. Non mi piace considerarmi un cervello in fuga perché chi fugge lo fa da qualcosa, generalmente per colpa dell'assenza di opportunità. Io lo ho fatto per vivere una nuova esperienza".



L'Università italiana? Dà un'ottima preparazione



La competizione internazionale è stata un'ottima occasione, per la docente italiana, di fugare diversi preconcetti sul nostro sistema scolastico e universitario: “La Federico II mi ha fornito un'ottima preparazione. All'epoca in cui studiavo si dava moltissimo peso alla formazione teorica e a Vienna, dove ho fatto il mio dottorato e lavorato in un ambiente internazionale, con ragazzi provenienti da tutto il mondo, ho notato che ero sempre preparata almeno tanto quanto loro se non di più”. E così, dopo il dottorato a Vienna, Marina Pasca di Magliano vive, dal 2002, negli USA, dove studia il cancro al pancreas.



“Cosa rende il tumore al pancreas invisibile al sistema immunitario?”



"Nel nostro laboratorio stiamo provando a capire come nasce il tumore al pancreas, come una cellula sana diventa malata, per comprendere se è possibile invertire il processo. I nostri studi si focalizzano anche su un aspetto molto affascinante della malattia, ovvero la capacità del tumore di rendersi invisibile al nostro sistema immunitario”. Grazie a questa caratteristica, il tumore al pancreas non dà quasi alcun sintomo (prendiamo per esempio la febbre che abbiamo quando contraiamo un virus: è il segnale della risposta del sistema immunitario, un campanello d'allarme che ci fa capire che nel nostro corpo c'è qualcosa che non va) se non negli stadi finali ed è perciò tra quelli più letali: “Non è tra i più diffusi – ci spiega la professoressa Pasca di Magliano – ma negli USA è tra i primi tre tumori maggiormente mortali, perché quando viene diagnosticato in genere è ormai troppo tardi”. Comprendere qual è il trucco usato dal cancro per addomesticare le cellule sentinella, che pure convivono fianco a fianco con quelle tumorali, permetterebbe di affrontare per tempo la malattia al suo insorgere.





Le cellule tumorali (con contorni bianchi) sono circondate da diversi tipi di cellule immunitarie (verdi e rosse); invece di combattere il tumore, queste cellule immunitarie promuovono la sua crescita. In blu: nuclei di tutte le cellule.

Il grande ruolo dell'IA nella ricerca



“Il mio è ancora un wet laboratory – dice ridendo la ricercatrice – vale a dire un laboratorio tradizionale, dove occorre sporcarsi le mani: abbiamo però fatto passi da gigante nella ricerca grazie alla bio-informatica: i software ci aiutano a scremare e a filtrare l'enorme quantità di dati che abbiamo, ma non si tratta di intelligenza artificiale perché i programmi che usiamo devono essere programmati a tal scopo. Dall'IA invece ci aspettiamo che studi modelli predittivi sull'insorgenza del cancro o anche che sappia leggere vetrini e risonanze per fare diagnosi, attività che oggi sottraggono personale umano ad altri compiti. Pare fantascienza e siamo appena agli inizi di questa incredibile rivoluzione tecnologica, ma ci sono già studi in tal senso”.



Lo scienziato sa di non sapere



Infine, anche se non è materia di sua stretta competenza, la dottoressa ci ha dato una mano nel provare a interpretare quel surreale dibattito televisivo tra virologi sul Covid-19 che rende spaesata l'opinione pubblica. “Non puoi essere uno scienziato se parli per assoluti e pensi di avere tutte le risposte. Uno scienziato deve porre buone domande, essere consapevole che le risposte variano al variare degli interrogativi e che la scienza si basa su ipotesi che bisogna avere l'umiltà di ammettere potrebbero rivelarsi totalmente errate”.

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